BERTAGNOLI E DE MARZI

Bertagnoli e De Marzi

Era Bepi Bertagnoli un giovane universitario, studente di Legge a Padova. Era scomparso nell’alta Valle del Chiampo, travolto da una slavina, dopo un’abbondante nevicata primaverile. L’avevano cercato invano per settimane, solo lo sciogliersi delle nevi l’aveva restituito. Gli amici del Cai avevano preparato una lapide in bronzo da porre sul luogo dove era caduto. Ezio Ferrari, il primo tenore del coro, che di Bertagnoli era stato amico e compagno di studi, mi fa: Perché non fai un canto per Bepi?. Abitavo allora sopra una di quelle ospitali osterie, dove si giocava a carte fino a notte, tra qualche canto e qualche fiorita imprecazione… Ecco, Dio del cielo, Signore delle vette l’ho composto là, in un giorno di agosto, con nelle orecchie il dialogare animato del gioco del tresette e un vago profumo di vino nero. Forse ho impiegato una ventina di minuti a completare il testo e la melodia.
Signore delle vette, diventato, durante le prove, Signore delle cime perché più cantabile, venne eseguito in una nuvolosa e fredda domenica del 1958, lassù in montagna, per ricordare l’amico Bepi Bertagnoli e fu anche la prima uscita del neonato coro, destinato a diventare, con il nome di Crodaioli (arrampicatori delle crode) uno dei più affermati nel ramo.
Venti minuti, dunque, per un canto bello, ispirato, intriso di fede e di speranza. Una preghiera, preferisce chiamarla De Marzi. E anche innovativo. Per la prima volta le parole ricordavano dolcemente un amico, fuori dal genere dei testi enfatici ed evocativi della guerra. Era un brano che proveniva dal sentimento popolare autentico, al di là dei canti di montagna, ricorda il compositore.
Un successo mondiale.

Dopo quella nuvolosa domenica di ottobre del 1958, il canto-preghiera se ne è andato da solo e per le strade più impensate. Racconta De Marzi: L’ho sentito cantare in Canada, in Finlandia, in Sudamerica, in Sudafrica. In tournée con i Solisti Veneti in Australia, siamo stati accolti con il Signore delle cime anziché con l’inno nazionale. È stato eseguito anche in piazza San Pietro e il Papa stesso lo seguiva cantandolo.

La canzone è stata sottoposta nel tempo ai più svariati adattamenti, arrangiamenti, manipolazioni varie. Uno vi ha aggiunto perfino una terza strofa – ricorda De Marzi – perché lo trovava troppo triste. Un giorno è venuto dal Giappone un musicista che voleva conoscermi: aveva trascritto Signore delle cime per l’orchestra sinfonica e il gran coro di Nagano. Ma De Marzi non si adonta per tante licenze, contento, anzi, che il suo canto-preghiera sia considerato come un’anonima storia popolare.
Un po’ meno contento, qualche prete ne nega l’esecuzione in chiesa perché non liturgico. Succede anche questo.
di Piero Lazzarin

BERTAGNOLI E DE MARZI