I CIMBRI

Sono così detti gli abitanti di alcuni paesi di un’area omogenea tra Veneto e Trentino che parlano, o parlavano, la lingua detta cimbro. Al giorno d’oggi, il cimbro è parlato a Luserna, in provincia di Trento, dalla maggioranza della popolazione (e cioè da circa 220 persone); a Giazza, nell’alta Val d’Illasi in provincia di Verona, da alcune decine di abitanti; a Mezzaselva di Roana, sull’Altopiano d’Asiago, in provincia di Vicenza, da una manciata di persone. A costoro, però, bisogna aggiungere i molti emigrati, che usano ancora questa lingua nella propria famiglia: a Trento, per esempio, i Lusernati ivi residenti che parlano in cimbro sono più numerosi che non nel paese d’origine. Sono molti i Cimbri veronesi che risiedono oggi a Verona e in altri centri del Veronese, a Latina (dove emigrarono al tempo della bonifica delle Paludi Pontine, e cioè tra il 1930 e il 1932), a Varese.

FOTO RONALD MENTI FLICKR

Anticamente, il popolo cimbro si estendeva su un’area assai estesa, dall’Altopiano d’Asiago a est fino alla Folgaria e a Terragnolo a ovest, occupando tutte le testate delle valli dei fiumi vicentini Astico, Leogra, Agno, Chiampo e l’intera zona dei XIII Comuni Veronesi.

Non sono cimbri altri piccoli popoli sparsi su tutto l’arco alpino. Questo perché i tre dialetti cimbri traggono origine dalla zona in cui la Baviera confina con la Svevia e il Tirolo. Al contrario, i Walser di Gressoney, di Alagna Valsesia e di Rima hanno una parlata di tipo alemannico (come il tedesco svizzero); i Mòcheni della Valle del Fersina hanno una parlata vicina al tirolese della Valdadige; gli abitanti di Sappada in provincia di Belluno e quelli della vicina Sàuris (in provincia di Udine) usano un dialetto affine a quello della Gailtal austriaca, la vallata poco oltre il confine.

II loro appellativo deriva dal tedesco “Zimmerer” ovverosia “lavorante del legno”. Caratterizza e differenzia queste genti rispetto agli altri abitanti delle Prealpi Venete e Trentine, una cultura ed un linguaggio diversi oltre dell’ originalità loro proprie. Cosicché oggi esse si riconoscono nella matrice germanica dei propri cognomi, ma salvo rarissimi casi non si ascolta più parlare Tautsch. Tuttavia vari sono i gruppi che, legati dalla stessa origine, stanno cercando di recuperare quanto è stato perso attraverso corsi, seminari, studi, musei, libri e riviste.

Va notato che molti si dichiarano Cimbri nonostante che non conoscano bene la lingua, o non la conoscano affatto: però erano cimbri i loro genitori o i loro nonni. Lo stesso accade con gli Irlandesi, fieri di dichiararsi tali anche se parlano sempre in inglese e non sanno neppure una parola di gaelico. G. R.

Si dice che una lingua muore quando muore l’ultima persone che attraverso essa si esprime. Ebbene, è nostro più vivo augurio che tale eventualità non abbia mai a verificarsi per i Cimbri e per il loro splendido idioma.

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Il turista che visiti la zona e molti altri punti delle montagne tra Verona, Vicenza e il Trentino meridionale si accorge presto che molti toponimi hanno aspetto non veneto. Tra Giazza e Recoaro si trova il Passo Rìstele; sul massiccio del Carega abbiamo il monte Plische; un monte di Roveré si chiama Pùrghestal; sopra Recoaro sta il massiccio dell’Obante, che si prolunga a est verso il Bàffelan; nei Sette Comuni troviamo il Kaberlaba… Alcuni nomi possono essere compresi, altri — e sono la grande maggioranza — non sono spiegabili, per le profonde alterazioni subite nel passaggio dal cimbro al veneto.

Così, il Plische sembra dovere il suo nome alla presenza di lampi durante i temporali (Peark ’un Pljètzegarn «monte dei lampi»). Il Pùrghestal non è altro che il medio altotedesco burgstal «sito adatto a un castello» (= cimbro purkstal); in altri punti delle zone che già furono cimbre la stessa, identica parola venne alterata in Postàle. Il Bàffelan corrisponde linguisticamente alla denominazione del vicino Pian delle Fugazze; quest’ultima rappresenta né più né meno che la traduzione del toponimo cimbro, inteso appunto come «pianoro delle focacce», mentre in realtà significò «pianoro delle armi» (perché lì era collocato stabilmente un corpo di guardia cimbro secondo gli accordi presi tra la Reggenza dei Sette Comuni e la Repubblica Veneta: i Cimbri assumevano a proprie spese la custodia armata dei confini tra la Repubblica e l’Impero). La voce originaria suonava Bafen-lant «pianoro delle armi», ma fu intesa come Bafel-lant «pianoro delle focaccine, dei pasticcini». Kaberlaba significa «pozza degli scarafaggi».

Comunissimo nelle zone cimbre è Làite o Làita, dal cimbro làite «pendio, declivio». Rast è anch’esso frequente, e corrisponde a «posto dove si riposa». Molti toponimi terminano in -le o -la, che riproducono il suffisso diminutivo cimbro -le; per esempio el Bìsele del Tretto, che è il cimbro bìsele «praticello, piccolo prato». Tra le curiosità della toponomastica, va menzionato Purga nome di quattro montagne appuntite (presso Velo Veronese, Bolca, Durlo e Folgaria), che preserva un antico cimbro kar Purge «al castello, presso il castello»; la voce, però, fu usata anche come sinonimo di pùrkstal «sito adatto a ospitare un castello (anche se non vi fu mai un vero castello sopra di esso)».

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